Per chi semplicemente va perché un giorno e' andato e non si e' più fermato.
Per chi viaggia seriamente. Per chi vorrebbe farlo, e chissà, magari un giorno.
Per chi viaggia continuamente senza muoversi.
Per chi e' dovuto andare senza avere scelta.
E per i luoghi. Per quelli che ci accolgono e per quelli che lasciamo.
Per i luoghi che ci hanno sorpreso, per quelli che ci hanno fatto innamorare e per quelli che ci hanno fatto male.
Per i luoghi del passato. Quelli che ci hanno visto nascere e quelli che hanno accolto i nostri primi passi. Per i luoghi dei nostri antenati che contengono una parte di noi, in silenzio.
Per i luoghi che non vedremo mai.
Per quelli che ci vedranno piangere e urlare.
Per quelli la quale terra copre i nostri morti.
"Un luogo non e' mai solo quel luogo: quel luogo siamo un po anche noi. In qualche modo senza saperlo, ce lo portavamo dentro e un giorno, per caso, ci siamo arrivati. Ci siamo arrivati il giorno giusto o il giorno sbagliato, a seconda, ma questa non e' responsabilità del luogo, dipende da noi. Dipende da come leggiamo quel luogo, dalla nostra disponibilità ad accoglierlo dentro gli occhi e dentro l'animo, se siamo allegri o malinconici, euforici o disforci, giovani o vecchi, se ci sentiamo bene o se abbiamo il mal di pancia. Dipende da chi siamo nel momento in cui arriviamo in quel luogo. Queste cose si imparano con il tempo, e soprattutto viaggiando."
Photo: virginia
13/03/11
voci
e' domenica pomeriggio qui in north london. fuori il tempo si e' riappacificato e io dentro invece combatto con la mia immobilità. non riesco a piegare l'indice della mano sinistra e il piede e' fasciato per bene dopo il piccolo incidente domestico. ho bisogno di aria e ho bisogno di ascoltare i rumori di questa domenica, ho bisogno di riconnetermi con il mondo esterno, sono stati giorni di malessere fisico e ho bisogno di distogliere lo sguardo dal mio corpo e di ritrovare un equilibrio con ciò che mi circonda. julian e' uscito e la casa e' sola, con me dentro. allora apro la porta bianca che porta al giardino, quella stretta davanti alla quale julian lascia sempre buste piene di cose come se quella porta fosse li per non essere aperta. ma e' la mia porta, lui ne ha un'altra che lo conduce in giardino, grande e moderna. questa bianca e stretta e vecchia e' la mia e allora con la calma che non ho e che cerco, rimuovo le sue cose e apro la porta verso la pace del giardino. respiro. respiro e ascolto e mi sembra che tutto riacquisti colore e senso. ci sono i rumori della domenica fuori dalla porta bianca. ci sono gli uccelli che cinguettano e i figli dei vicini che giocano a pallone. qualche cane che abbaia e ogni tanto un gallo che canta. i ragazzi che giocano mi riportano alle domeniche del passato, quando vivevo in un condominio e i ragazzi si riunivano nel cortile a giocare o a volte, in un campetto piu distante che riuscivo a vedere dal balcone di casa. il tempo di domenica si fermava soprattutto nel pomeriggio, quando il lungo pranzo domenicale era terminato e cosi le varie pulizie ma i preparativi per la cena erano ancora distanti. io adoravo stare sul balcone ed osservare la calma, ascoltare i movimenti mai invasivi, mai inopportuni. e poi nel mezzo della calma arrivavano loro, i miei nonni con la loro allegria, con i loro abbracci, con la loro vita che io ammiravo come si ammira una foto perfetta. ero felice ma mica lo sapevo. ero felice e basta, senza domande.
a volte come in questi momenti quando i rumori del passato ritornano, mi chiedo quand'e' che il passato e' diventato passato? e perche? dove sono le voci di quel passato, dove sono le risate, dove sono quelle persone che vedevo ogni giorno e che credevo avrei visto per il resto della mia vita sempre uguali. dov'è' il vicolo di casa e il cancello del palazzo. la cassetta delle lettere, l'ascensore verde. le vigne abbandonate e il campetto della pineta. la macchina rumorosa di mio nonno e le borse sempre piene di mia nonna. dove sono il balcone verso il mare e quello verso il vesuvio. le luci di sorrento e capri. dov'è' la signora gilda del piano terra dove tutti andavano a prendersi il caffè. non c'era il tempo da piccola, c'era solo il presente riempito da persone che all'improvviso non ho più trovato intorno a me. rumori che non ho piu sentito. come quando qualcuno ti spegne la radio d'improvviso cosi il mio presente e' diventato passato.
ora inizio a infreddolirmi fuori dalla porta bianca ed e' quasi sera. le voci e i rumori del passato si fanno sempre più flebili e io ritorno al mio presente, al mio piede infortunato e alla cena da preparare. il campetto si svuota e miei nonni ripartono in macchina. non e' più domenica.
06/03/11
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sprofondata nella poltrona rossa. il caffè ormai freddo. il suono della tromba dal cd che mi ha portato sara. la luce delle due lampade. fuori il buio che si infittisce e dentro la voce flebile e impaurita di mia nonna si posa su tutto e pesa. mi sento una bambina che trattiene le lacrime in gola. respiro profondamente e intanto il cd e' finito e si sente solo l'acqua che si muove nel termosifone dietro la poltrona. ora mi e' venuta in mente la vasca, potrei andare su e farmi un bagno caldo, metterci la lavanda come piace a me e aspettare li. aspettare che si sciolga il nodo in gola, aspettare che questo strano equilibrio malinconico si spezzi e succeda qualcosa. potrei piangere o mangiare. potrei sbattere le cose per terra se riuscissi ad arrabbiarmi. o potrei piegare il bucato. invece non voglio fare niente. solo respirare profondamente e buttare giù le lacrime e se queste sono più forti dei miei respiri e arrivano su fino agli occhi allora chiudo gli occhi e mi addormento. si voglio riposare e vorrei che tutti la smettessero di dire cose inutili, parole inutili. bisognerebbe insegnare alle persone il silenzio.
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