Cos’è buenos aires? Come si afferra? Da che parte la si prende? Non so. Per me Buenos aires è una città che non riesci ad afferrare. Ci stai dentro, la guardi e cerchi una definizione ma lei sfugge e non si fa prendere. È qualcosa, ma è sempre anche altro. Sta lì e ti avvolge con le strade che sembrano tutte uguali ma che sono sempre diverse, con le caffetterie colorate e piene di passato, con la musica che viene fuori da finestre e negozi, con la luce del sole che si intrufola fra alberi e fili dei semafori. Ti avvolge con camion vecchissimi che mai riuscirai a vedere su una strada europea e con taxi gialli e neri che racchiudono storie sempre diverse. Ti avvolge con i volti semplici e fieri delle persone e con l’odore di carne arrostita e il rumore di soda fresca spruzzata nel vino tinto. Buenos aires è un po’ Parigi, un po’ Napoli, un po’ Messico, un po’ Bolivia e un po’ altro. È Italo il sarto, con la sua eleganza e con il suo passaporto italiano e il suo biglietto della nave ancora intatti, protezione della propria identità. È Adolfo l’edicolante ormai senza edicola con sempre un consiglio su cosa fare e dove andare, e con sempre “moneda” da elargire, custodita da altri gelosamente. Ma è anche e soprattutto i portenos che si lamentano della insicuritad. È un po’ Fossati e un po’, giusto un po’ Pessoa. È tanto sud e un po’ di buono nord del mondo. È la nonna calabrese di Fernanda e la casa di Lanùs di Ulisse ed Erika, e i vicini di casa di Enrico, è un po’ Sant Elmo, un po’ Matadores e tanta Salada. È la buona compagnia di Octavio ed Ana, è un po’ di rock, un po’ di ska al parque del centenario e tanto tango ovunque. È la valigia di cartone di Enrico rimasta lì ad attendere. É l’irregolarità e la vitalità della villa 31 con dentro Le Rire di Bergson, è la città delle buonissime media lunas e dell’ancora più buono dulce de leche e dell’incontro di questi ultimi due in una goduria del palato. È la città del mate bevuto in taxi e degli alfajor presi a qualsiasi ora nei kioski sempre aperti. È la città del BAFICI (il festival di cinema indipendente) e le sue code. È la città del 41 e della calle urquiza esplorata di notte. È la città del popolo e della borghesia, tutti uniti al funerale di Alfonsìn. E ora, da qualche giorno, è anche la città del Musetta, un caffè ancora non letterario. Forse non è la città dei fotografi, nè dei postini. Non è la città degli spicci, nè dei trasporti pubblici e non è la città dei filtri per le sigarette. Ma credo sia l’unica città al mondo in cui Milano e Napoli convivono armoniosamente, necessariamente, gustosamente, intellettualmente, fisicamente nella prima pietanza mangiata in argentina in una giornata assolata e che ha un po’ caratterizzato ciò che poi è stata la mia buenos aires, la milanesa a la napolitana. Buenos aires è anche tanto, tanto altro. Quel tanto altro che un po' non si vuole e un po' non si può tradurre in parole.