Mi trovavo credo in terza media. Quell'anno e' stato molto
probabilmente l'anno in cui hanno preso forma alcuni dei valori e delle
passioni piu importanti della mia vita. L'anno in cui probabilmente
inizavo a prendere forma io come essere pensante e desiderante e prendevo
coscienza del mio universo dove non rientravano ne famiglia ne le persone che
conoscevo. Nella mia classe, come succede in ogni classe soprattutto alle
medie, c'erano i soliti bulletti, un po figli di papa, bellocci e che avevano
deciso di puntare tutto sulla furbizia. La furbizia a quell'eta e' una qualita'
da coltivare, essere il piu furbo vuol dire essere il migliore o
almeno apparire il migliore. Io non so quando e' nata in me la sete di
giustizia, di onesta, di chiarezza, di rispetto, ma sicuramente in quell'anno
era diventata cosi forte e identificabile che non potevo fare a meno
di manifestarla, per la prima volta fuori dalla mia
famiglia, dove qualsiasi sete io avessi rimaneva inascoltata. Ricordo con
chiarezza la mia insofferenza rispetto ai vari imbrogli che accadevano in
classe che non venivano mai scoperti, mi imbattevo nella mancanza di giustizia
e non riuscivo a capacitarmi che le cose dovessero andare cosi. Lui,
Lorenzo era diventato il capetto, il piu furbo, e ne andava fiero. Solo che un
giorno succede che la sua furbizia incrocia me e se mentre stavo male ma zitta quando
vedevo gli altri vittime della sua spavalderia e del senso di omerta che pure
era fortissimo negli anni adolescenziali soprattutto in una scuola del sud
Italia, insomma quando invece furbizia e disonesta' hanno toccato me e
quel mio universo che stavo delicatamente scoprendo e hanno presupposto
una mia posizione io ho creduto in cio che sentivo e cioe che la sincerita', la
chiarezza, l'onesta' vincessero sempre e che in qualsiasi momento potessero far
crollare una torre di bugie, di inganni. Ho creduto, e ho continuato a credere
per tutti gli anni seguenti, che una persona guardata negli occhi e messa
davanti alla verita, davanti alla posizione di dire la verita, non avesse altra
scelta che ammettere le proprie colpe, e non perche spinta da altri ma dal peso
della propria coscienza. Ripeto, non so come a undici, dodici anni fosse
cosi forte in me questa convinzione. Credevo nella sincerita e nella bellezza
della sincerita, credevo nella giustizia e la volevo ad ogni costo. Tanto e'
che un giorno avviene un processo in classe, la professoressa di italiano -
sono sempre le professoresse di italiano ad accompagnarti durante il processo
di formazione umana - chiede spiegazione circa cose che non la convincevano,
ero coinvolta io, era coinvolto lui. Lui ha la parola e nega. Io ero allibita,
credevo, dall’ingenuita dei miei 12 anni, che ormai fosse fatta, la magagna era
stata scoperta, davanti a 30 ragazzi, che tra l’altro spaevano, e alle domande
della professoressa non poteva fare altro che ammettere e arrendersi. Invece
no. Lui nega. All'epoca non avrei mai immaginato che quella scena l'avrei
rivissuta nella mia vita personale e nella vita sociale e politica del mio
paese, ma anche del resto del mondo, milioni e milioni di volte tanto che
ormai la considero un classico. No, all'epoca io ero scioccata. Ed ecco cosa
succede, viene data a me la parola, se avessi parlato sarei stata
immediatamente classificata come la traditrice, la bambina che racconta tutto,
inaffidabile, perche e' questa la forza del disonesto, che altrimenti forza non
avrebbe, fare leva su cio che puo farti male, e a quell'eta si sa cercavamo
tutti un consenso, cercavamo visibilità, considerazione, approvazione, parlando
avrei dimostrato che di me non ci si poteva fidare, per salvare me stessa ho
puntato il dito verso un'altra persona che seppure colpevole non doveva essere
tradita. Sarebbe stato inaccettabile socialmente il mio comportamento, la fine
della mia battaglia per assicurarmi un posto nel mondo. O almeno questo era il
mio terrore. Ma come potevo non dire? Mi veniva chiesta la verita, come potevo non
far sapere? Non testimoniare? Non difendermi? Riuscire a non accusare? Come
poteva il mondo chiedermi questo? Allora io sono rimasta zitta e mi sono
girata e ho portato il mio sguardo da quello della professoressa a quello
di lui. L'ho guardato e gli ho detto, come puoi avere la faccia tosta di
continuare a mentire? Come puoi non capire che e' finita, che il tuo gioco e'
stato scoperto? Lui era muto, mi guardava con superiorita’ e quasi compassione,
anche il resto della classe rimase in silenzio, increduli della mia reazione, io
ho guardato ancora la professoressa che a quel punto non ha piu sollecitato una
mia versione dei fatti, a lei bastava cio che aveva visto e sentito. La mia
nausea per quella menzogna che stava ancora una volta per vincere non aveva
bisogno di ulteriori spiegazioni, di accuse, di litigi, quella mia nausea agli
occhi di quella donna – donna! – non poteva che essere sincera e apparire tale.
Sono passati piu di 20 anni da quell'episodio eppure cio che e' successo in
quella classe, il mio voler credere a tutti i costi che giustizia sarebbe stata fatta
anche se non avevo abbastanza strumenti, e avevo dei limiti che non potevo non
considerare, e' stata la forza che mi ha accompagnata in tutte le mie
battaglie. In ogni situazione oscura, dove la mancanza di chiarezza e di onesta
e' evidente e dove e’ quasi sempre evidente anche la mia mancanza di potere,
di strumenti, di prove, io sempre faccio appello alla potenza e alla bellezza della verita e dell'onesta, spero sempre che la forza del
mio bisogno di onesta smuova la coscienza di chi ho davanti. Rispetto a venti
anni fa ormai accetto con non troppi turbamenti la posizione
spesso imperterrita di chi mi sta davanti e ha deciso che la verita non verra
fuori, pero grazie a quel primo successo io ho e avro sempre la forza e la
voglia di chiamare in causa l'onesta. Non mi stanchero mai di crederci, non mi
stanchero mai di dare fiducia al giudice che ho davanti, anche se raramente ho
trovato di nuovo giudici con un'etica e un'apertura cosi forte come quello
della professoressa d'italiano. Ormai sono rassegnata con me stessa perche so
che non smettero mai con un filo di ingenuità, di gridare:
il tuo gioco e' stato scoperto che tu lo ammetta o no.
Photo: virginia
18/05/12
13/05/12
Non tutti i bastardi sono di Vienna
Per la prima volta ho fatto fatica a finire un libro
perche troppo bello, di una bellezza coinvolgente,
delicata, semplice e intensa allo stesso
tempo. Un racconto che ha il gusto delle cose
buone di una volta, e che soprattutto e' un racconto. C'e' qualcuno che ci sta
raccontando una storia, con dentro delle persone, i loro luoghi, il
loro tempo, il loro passato, le loro relazioni, le
loro complessita. L'ho letto lentamente, e ogni volta che
mi fermavo tiravo un sospiro di sollievo come se stessi così prolungando
la vita dei personaggi. A un certo punto ho temuto per loro,
sentivo che stava per succedere qualcosa di doloroso
e stavo male, non volevo sapere. Un'alchimia così forte non
credo sia mai accaduta tra me e il mondo del romanzo. Forse una
cosa simile mi e' successa con Sostiene Pereira, ma era un coinvolgimento
molto più intellettuale, diverso. In questo romanzo sono
diventata l'ombra del narratore, ero li con lui, ho amato,
sofferto, pensato, riso, mi arrabbiavo e gioivo con
lui. Verso la fine ormai conoscevo tutti e non volevo che finisse,
non volevo succedesse niente di cio che sentivo stesse per succedere. La scrittura e' elegante, raffinata ma non fredda, mai. Mentre leggi ti sembra di masticare quelle parole, mi sono trovata a rileggere a volte una parola a voce alta per sentirne il suono. Ecco, questo libro viene voglia di leggerlo a voce alta perche e' fatto di belle parole di quelle che ormai non si usano piu e non si sa perche. Ma e' un linguaggio allo stesso tempo semplice. L'uso del dialetto segna le diverse estrazioni sociali dei personaggi ma e' pieno di umanita' e di tenerezza. E' un libro duro perché mostra la durezza della vita ma anche perché ne mostra la bellezza, la potenza, la ricchezza, la diversità.
Non tutti i bastardi sono di Vienna, Andrea Molesini, ed Sellerio, 14.00 €
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