Photo: virginia

03/06/11

i giorni del verde

Il fatto e’ che il cielo non dovrebbe stare dietro ad una finestra. Le finestre, che io amo, dovrebbero esistere solo per chi le guarda da fuori. Guardare il cielo al di qua di una finestra e’ un po come intrappolarlo e questa e’ la mia ansia quotidiana: il cielo dietro la finestra.
A volte mi chiedo da dove provenga la mia intolleranza ai posti chiusi.
Ma poi tutto e’ chiaro, io sono nata davanti al mare e la mia prima casa era in una pineta profumata e misteriosa.
Quando poi i miei hanno deciso di civilizzarsi, con mio immenso dolore, io ero abbastanza grande  dapoter evitare la nuova casa nel condominio e girovagare nel bar dei miei nonni. O nella loro grande casa sopra al bar. O nel terrazzo ancora piu sopra.
Piu su andavo e piu il cielo si avvicinava e meno persone incontravo intorno a me, ma le vedevo dall’alto. Le vedevo muoversi come formiche. Incrociarsi, fermarsi. Ero affascinata da tutto quel movimento sotto di me e dal cielo immenso sopra e dal mare su un lato che rifletteva la luce del sole.
Poi venivano i giorni del verde. Tutti e quattro i miei nonni avevano dei campi. La cosiddetta terra. Ma il campo del mio nonno paterno era gia diviso fra i figli. Lui ci andava, ma da solo, non chiedeva mai a nessuno di accompagnarlo. Io lo osservavo da lontano. Non mi facevo domande, era cosi e basta.
Mio nonno materno invece mi ci portava spesso nella sua di terra. La sua terra era stata ereditata da suo padre ma gli altri fratelli di mio nonno non l’hanno voluta, scegliendo altre strade per fare soldi in modo piu veloce e apparentemente “indolore”. Allora mio nonno si e’ trovato con questa sterminata distesa verde, c’ha fatto tanti pezzettini dove c’era di tutto. E ha lasciato una parte selvaggia. Io amavo tutto questo. Era sempre una scoperta, una magnifica ed eccitante scoperta. Ogni volta che c’andavo era cambiato qualcosa. Piu erba, piu frutti, piu fiori. Sopra e sotto gli alberi. Passavo dai pezzi coltivati, precisi e ordinati ai pezzi selvaggi, con erba piu alta di me e movimenti preoccupanti di animali. Attenta ai serpenti, mi diceva mio nonno. E io ci stavo attenta e non vedevo l’ora di vederne uno e di gridare. E ne ho visti di serpenti che mi hanno fatto gridare e mi hanno resa orgogliosa. Non era facile vedere un serpente, la sua presenza indicava che ero, in qualche modo, andata oltre.
Sono cresciuta osservando mio nonno lavorare i campi. Faceva magie. E da queste magie venivano fuori cose da mangiare, profumate e colorate. Mi faceva cogliere piselli, pomodori, peperoncini verdi. Mi spiegava come e quali. E poi una parte di questi frutti della terra passava nelle mani sempre magiche di mia nonna. Ci ritrovavamo dopo qualche ora a sederci sotto la vite, al fresco, a mangiare il risultato della nostra amicizia con la terra.
Quando arrivava il tempo delle patate mio nonno faceva un’altra magia. Mi indicava un pezzo di terra dove non c’era niente. Solo terra marrone. Neanche erba. E mi diceva scava con le mani. E io mi mettevo giu e scavavo, toccavo la terra fresca e mi sporcavo gioiosamente le unghie e all’improvviso sotto le mie mani trovavo delle cose rotonde e lisce. Le patate. E piu ne trovavo e piu le cercavo, piu affondavo le mie mani. Io e la terra eravamo complici, grazie alle magie di mio nonno. Quelli erano i tempi.

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