Parlo spesso di mia nonna. La mia nonna Rosaria. O meglio, ne scrivo spesso perché in realtà ne parlo poco a voce. Se ne scrivo riesco a far uscire ciò che sento per lei e che non riesce a stare dentro me, senza pero perdere nulla. Attraverso la scrittura rimane ancora tutto mio. Quando ne parlo invece mi sembra di perdere la bellezza che avvolge il nostro rapporto.
Il mio dolore permanente, quello più acuto di qualsiasi altro dolore, e’ il dolore di mia nonna.
La mia sofferenza sta nel non poter sentire il male che sente lei per riuscire cosi a esserle più vicina, a capirla di più, a condividere anche questo dopo 32 anni di noi.
C’e’ un’immagine che mi viene sempre in mente appena penso a me e mia nonna.
E’ un’immagine che non so più se appartiene anche alla mia memoria o solo alla sua. Raccontata e dipinta dalla voce di mia nonna così tante volte che e’ diventata “nostra”, fa parte della nostra memoria collettiva.
Siamo io e lei, a Torre del Greco durante il terremoto dell’80. Io avevo appena due anni. Mia nonna corre a casa dei miei, io con lei, come sempre. Lei e’ spaventata e piange mentre corre e mi tiene per mano e io seguo il suo passo veloce e le dico: nonna non piangere ci sono io con te.
Ecco io e mia nonna ci siamo tenute per mano, sempre. Lo abbiamo fatto fisicamente e mentalmente. In qualsiasi parte del mondo io fossi se una delle due aveva bisogno dell'altra bastava poco, e basta tutt'ora poco, perché l'altra si presentasse. Perché una delle due prendesse per mano l'altra.
E ora quella stretta di mano dovrebbe durare di più. Vorrei alleviarle il dolore e riportarle le persone che ha amato. Da quando sono andata via da lei, la gioia più grande per me e' quando vado a trovarla, quei primi 30 secondi in cui lei si accorge della mia presenza e sorride e i suoi occhi brillano e lei e' bellissima e io vorrei che lei si sentisse sempre come in quei 30 secondi.
Il mio dolore e' il dolore di mia nonna. E me lo porto dentro sempre, e' dietro alle mie risate, e' nei miei silenzi, e' sotto la mia pelle.