Photo: virginia

09/08/18

il buio


Mi capita di incontrare ancora, a tre mesi dalla morte di mio padre, persone che mi dicono che non sapevano. Non sapevano fosse malato. Mio padre era malato da sette anni, ma negli ultimi nove mesi la malattia lo ha aggredito ferocemente. Non riusciva più a mangiare, non dormiva più – e dico davvero, forse riusciva a chiudere gli occhi per un’ora ogni notte – aveva dolori forti che all’inizio abbiamo tenuto sotto controllo con gli oppioidi più leggeri, poi con la morfina fino a quando non è stato più possibile controllarli. Mio padre era diventato magrissimo. Eppure pochi si erano accorti che stava male. Perché mio padre viveva nonostante la malattia, nonostante le paure, nonostante i dolori. Non ha mai, mai, lasciato spazio alla malattia. La chemio spesso lo costringeva a stare a casa. Ma lui non voleva stare a letto. Si alzava ogni mattina, si faceva la barba, si vestiva bene e pensava a cosa fare, se c’erano cose da aggiustare a casa, curava l’orto, andava a comprare cose. E faceva progetti. Insieme in ospedale ne abbiamo fatti tanti io e lui. L’ultima settimana in ospedale disse alla sua dottoressa “quando starò meglio la porto a vedere Napoli e la costiera, la porto a vedere dei luoghi meravigliosi”. In quella occasione all’improvviso si interruppe, e disse “sto dicendo una cazzata”. Dopo una settimana non c’era più.
Mi fa molta fatica parlarne, ma ho bisogno di riappropriarmi delle parole che il dolore mi ha portato via. Ciò che volevo condividere qui è che nel buio in cui spesso mi trovo, nei momenti di dolore, di riflessione sulla morte, sulla sofferenza, e in questa insopportabile sensazione di irrealtà creata dall’assenza di una persona che c’è sempre stata nella mia vita, io respingo le immagini di sofferenza che ritornano chiarissime, e faccio spazio ai momenti di bellezza che, nonostante quel cancro bastardo, riuscivamo io e mio padre a vivere insieme. Penso a quando lo accompagnavo in macchina e mettevo le canzoni classiche napoletane e lui iniziava a cantare, penso a quando mi diceva, fermati prendiamoci un caffè, e poi in macchina mi diceva che quel caffè era proprio buono. Penso a quando a Milano la radioterapia era riuscita a fermargli il dolore, e lui felice è voluto andare a fare shopping. Ecco, il cancro ha vinto, perché ha ucciso mio padre, ma mio padre ha vinto perché non si è mai staccato dalla vita, non si è mai, mai, mai arreso, ed è riuscito a essere felice, con un caffè, con una canzone, con una giornata di sole.
Io sento di avere un lungo percorso da fare, nel ritrovare un nuovo equilibrio, ma è come se fossi in viaggio e nel mio zaino ci ho messo anche quel caffè, la voce di mio padre che canta e le giornate di sole che lo facevano sorridere. 

04/07/18

Questa estate qua

Mio padre era l'estate.
Era l'estate umbra con i suoi campi di girasoli gialli e di grano arrotolato, con i trattori da sorpassare, le sagre paesane, la carne arrosto, il vino buono. Era l'estate napoletana, con l'odore del mare, i piatti di cozze e vongole, le spiagge affollate, le nuotate fino ad arrivare agli scogli, il vino con le pesche, la passeggiata sul lungo mare, i taralli con il pepe. Era l'estate romagnola, la partita a bocce e quella a carte, i balli che non sapeva ballare, le passeggiate sulla spiaggia, le chiacchiere al bar. Mio padre era l'estate che aspettava, "quando c'è il sole mi sembra di sentirmi meglio", disse qualche giorno prima di morire. Il cancro è stato più veloce di questa estate che ora è arrivata inutilmente. E' un'estate che brucia questa, che parla solo di assenza. E' un'estate priva di senso. I girasoli, il verde, le cozze, il vino, il sole, i gelati, sono pietre che mi vengono lanciate ogni secondo.

03/04/18

Stare

Stare. Seduta accanto al tuo letto in ospedale.
Stare. Ad osservare il tuo respiro, i tuoi occhi chiusi che si riaprono con paura.
Stare. Senza pensare a cosa accadrà.

24/03/18

Un tavolo con in mezzo dei fiori gialli; la sabbia calda; le onde del mare; il sole; una poltrona accanto a una finestra; la luce di una lampada accanto a un divano; il silenzio; la voce di leonard cohen. È ciò che mi viene in mente quando cerco un'uscita da questo buio. Quando penso alla fine di tanto dolore, di questa sofferenza. Quando cerco un po' di luce.

11/02/18

Sono qui

Sono qui, papà. Ti osservo quando chiudi gli occhi e ti abbandoni sulla poltrona, davanti al camino. Osservo il tuo volto sofferente, stanco, spaventato. Sono qui, accolgo i tuoi silenzi, rispondo alle tue parole. Attendo i tuoi ricordi. I miei passi sono i tuoi, il mio tempo è scandito dal tuo. Ti accompagno, verso dove non so, ho il terrore di saperlo. Ma ti accompagno. Sono qui. Mi prendo la tua rabbia e vorrei in cambio darti serenità, dirti che tutto andrà bene, che la vinciamo, la vinciamo questa guerra. Ma non mi credi, e faccio fatica anche io. Noi cerchiamo le armi ma intanto il cancro divora le tue forze, ti ha tolto il sorriso, ti avvelena il sonno. E io non riesco a lasciarti neanche un attimo. Ti osservo, piango di nascosto, controllo se dormi, se hai dolore, se hai preso il raffreddore, se hai freddo. Sono qui. Come lo sei stato tu sempre, in ogni momento della mia vita. Combattiamo papà, combatti.

27/12/17

Pazzia

Provo a scrivere ciò che più mi manca di me ora che vivo nel regno di mia madre, dove non c'è spazio per altre identità se non la sua - ingombrante, urlante, buia, confusa.
Ho lasciato la mia vita in un deposito milanese. Vi ho lasciato la serenità, le luci soffuse, i colori. Ho lasciato lì la gioia di scegliere una bottiglia di vino e i gelati; vi ho lasciato i calzini caldi e la sciarpa messicana. L'emozione di iniziare un libro nuovo, sdraiata sul divano. Ho lasciato il silenzio e l'energia che ne scaturisce. Il cassetto con le tante scatole di tè, la tazza e il sottobicchiere inglesi. Ho lasciato anche Leonard Cohen, i mariachi e Gianmaria Testa. La voglia di leggere ed allontanarmi, quella di scrivere ed esplorare. Ho lasciato i desideri, non ricordo neanche quali e quanti. Ho lasciato la femminilità, la voglia di piacere e piacermi.
Mi muovo piano nel regno di mia madre per non rompere equilibri molto fragili che non saprei aggiustare. Non riconosco nulla, c'è rumore, c'è buio, c'è pazzia. C'è ciò che rimane di una madre, di una donna, dei pezzetti incolori sparsi sulle mensole. C'è delirio e rabbia, vendetta e ripicca, rancori e rimorsi.
Attendo, respiro piano. Non perdo di vista la porta.

17/02/17

berlino

Non e' una mossa intelligente andare a berlino due mesi dopo essersi lasciate con l'ex fidanzato tedesco. Non e' una mossa intelligente andarci a febbraio, quando "bene, e' meno freddo le temperature sono sopra lo zero, la neve si scioglie e..." inizia la pioggerellina del cazzo, proprio quella inglese triste che cade lentamente, leggera e ti avvolge. E berlino ha un'aria triste, quella della berlino triste dell'est, con la pioggerellina del cazzo, e l'ex che si e' preso un posticino nei tuoi pensieri, e poi eccola, una telefonata di mezz'ora dall'italia, una telefonata che parla di pazzia e di dolore, e ti fa sentire inutile e cogliona, mentre ti avvicini alla porta di brandeburgo e pensi che forse no, non e' stata una mossa cosi intelligente venire a berlino. Forse i caraibi sarebbe stata una mossa intelligente. Chissa. C'e' di fatto che arriva il momento di vedere quel tuo collega mezzo tedesco e mezzo messicano che ti porta in una enoteca italiana e c'e' gente, tanta, e voi siete in piedi al bancone a parlare di messico, guatemala, napoli con i suoi visitatori tedeschi, e berlino, e il bicchiere di vino tinto che e' sempre pieno, eppure tu il vino lo bevi, lo gusti, e ti piace pure, e tutto diventa meno triste, la pazzia si allontana, e pure il tuo ex fidanzato tedesco per un po', e pensi continuiamo a parlare di messico ti prego, e di cose belle, e ti giri e il bicchiere di vino che credevi di aver svuotato e' pieno, di nuovo, e scopri che dietro al bancone c'e un ragazzo italiano che te lo riempie. E berlino diventa un po' meno triste.

22/10/16

assenza

Nonna, stasera vorrei sedermi sul divano accanto a te, e fermarmi a vedere la televisione con te, osservarti mentre ridi e ti coinvolgi. Stasera vorrei ascoltare la tua voce, vorrei sentirti accanto. Vorrei che mi vedessi, che notassi come sto diventando donna, vorrei mostrarti le scarpe con il tacco che mi chiedevi sempre di mettere, vorrei farti vedere i vestiti che compro, il rossetto rosso, vorrei cucinare per te. Vorrei vederti orgogliosa di me, tu che donna lo eri, con semplicita' e classe. Nonna stasera vorrei entrare nel tuo mondo, e restare li' un po', assopirmi, prendermi un po' di affetto, di quello bello che mi davi tu, sempre e comunque. Mi manca la nostra complicita', mi manca prenderti le mani, baciarti le guance. Stasera mi vivo la tua assenza.

13/12/15

gin o' clock

Dopo sei anni di vita a Londra ho scoperto il piacere di sorseggiare la bevanda inglese per eccellenza, il gin & tonic. Non mi ero mai soffermata su questo aspetto intrinseco della cultura inglese. Io che non ci capisco niente di gin mi sono ritrovata affiscinata a guardare lo scaffale del supermercato zeppo di bellissime e talvolta elegantissime bottiglie di gin tutte made in England, dai prezzi svariati. E, seppur se di meno, una scelta abbastanza varia anche per quanto riguarda l'acqua tonica. Poi il tutto sta nell'abbinare le due eccellenze. E goderne. Goderne come ho imparato da solo qualche settimana a fare io. Non sono mai riuscita a condividere ad esempio l'assunzione spasmodica di birra. Ma tornare a casa dopo una giornata pesante e quasi sempre stressante, prepararsi un buon gin & tonic, e man mano che lo si sorseggia sentire lo stress scivolare via e i muscoli rilassarsi, e' un piacere che purtroppo ho scoperto solo ora. Si puo stare sei anni in un luogo e perdersi pezzi di cultura. Ma poi, quando pensi di saperne tanto, all'improvviso fai delle scoperte che ti riaccendono curiosita'. E ora vado, it's gin o' clock.

03/11/15

cafeconleche

Mi chiedono, perche non scrivi piu? Perche non fotografi piu?

Perche semplicemente stanno avvenendo dei cambiamenti in me da qualche anno, cambiamenti importanti che mi portano a vedere il mondo con occhi molto diversi da quelli di prima, con parole diverse, e nessuna delle forme di espressione e creativita a me tanto care e fondamentali per un certo periodo della mia vita, e' in grado di accompagnare questo processo di crescita e cambiamento.

Mi manca scrivere, mi manca leggermi. Mi manca osservarmi nelle foto che scatto. Ma la spinta e la naturalezza che caratterizzavano la scrittura di questo blog sono andate perdute e ogni mio tentativo di ripristino risulta in qualcosa di rigido, impacciato, arido.  Lo stesso con la mia macchina fotografica. Non vedo niente al di la dell'obiettivo. O meglio nella realta che mi circonda non vedo foto da catturare, non vedo la mia realta, quella che voglio tenere in una pagina.

E' un passaggio il mio che dura da qualche anno e che sono convinta mi portera' a un certo punto da qualche parte. Questo passaggio e' fatto di poche parole scritte e di poche immagini annotate e di tanti pensieri che fluttuano e che non nascono per restare. E' un passaggio da persone e luoghi che non ci sono piu a, spero presto, altre persone e altri luoghi che ci saranno. Ma non ne vedo la forma al momento, e non ne sento ancora l'odore. Quello che ho e' quello del passato che per ora e' solo da leggere, da osservare, da ricordare.

Cafeconleche resta e mi rassicura. Ci sono stata in passato, sono stata cosi e posso leggermi.