Mi capita di incontrare ancora, a tre mesi dalla morte di
mio padre, persone che mi dicono che non sapevano. Non sapevano fosse malato.
Mio padre era malato da sette anni, ma negli ultimi nove mesi la malattia lo ha
aggredito ferocemente. Non riusciva più a mangiare, non dormiva più – e dico
davvero, forse riusciva a chiudere gli occhi per un’ora ogni notte – aveva
dolori forti che all’inizio abbiamo tenuto sotto controllo con gli oppioidi più
leggeri, poi con la morfina fino a quando non è stato più possibile
controllarli. Mio padre era diventato magrissimo. Eppure pochi si erano accorti
che stava male. Perché mio padre viveva nonostante la malattia, nonostante le
paure, nonostante i dolori. Non ha mai, mai, lasciato spazio alla malattia. La
chemio spesso lo costringeva a stare a casa. Ma lui non voleva stare a letto. Si
alzava ogni mattina, si faceva la barba, si vestiva bene e pensava a cosa fare,
se c’erano cose da aggiustare a casa, curava l’orto, andava a comprare cose. E
faceva progetti. Insieme in ospedale ne abbiamo fatti tanti io e lui. L’ultima
settimana in ospedale disse alla sua dottoressa “quando starò meglio la porto a
vedere Napoli e la costiera, la porto a vedere dei luoghi meravigliosi”. In
quella occasione all’improvviso si interruppe, e disse “sto dicendo una cazzata”.
Dopo una settimana non c’era più.
Mi fa molta fatica parlarne, ma ho bisogno di
riappropriarmi delle parole che il dolore mi ha portato via. Ciò che volevo
condividere qui è che nel buio in cui spesso mi trovo, nei momenti di dolore,
di riflessione sulla morte, sulla sofferenza, e in questa insopportabile sensazione
di irrealtà creata dall’assenza di una persona che c’è sempre stata nella mia
vita, io respingo le immagini di sofferenza che ritornano chiarissime, e faccio
spazio ai momenti di bellezza che, nonostante quel cancro bastardo, riuscivamo
io e mio padre a vivere insieme. Penso a quando lo accompagnavo in macchina e
mettevo le canzoni classiche napoletane e lui iniziava a cantare, penso a
quando mi diceva, fermati prendiamoci un caffè, e poi in macchina mi diceva che
quel caffè era proprio buono. Penso a quando a Milano la radioterapia era
riuscita a fermargli il dolore, e lui felice è voluto andare a fare shopping.
Ecco, il cancro ha vinto, perché ha ucciso mio padre, ma mio padre ha vinto
perché non si è mai staccato dalla vita, non si è mai, mai, mai arreso, ed è
riuscito a essere felice, con un caffè, con una canzone, con una giornata di
sole.
Io sento di avere un lungo percorso da fare, nel ritrovare un nuovo equilibrio, ma è
come se fossi in viaggio e nel mio zaino ci ho messo anche quel caffè, la voce di mio
padre che canta e le giornate di sole che lo facevano sorridere.