Photo: virginia

28/04/09

cosa farà da grande mio fratello?

oggi sono andata a prendere i provini delle foto di baires e di un rullino fatto a salvatore per il carnevale. i provini di salvatore dovevano essere a colori invece per un motivo ancora a me sconosciuto il fotografao me li ha fatti in bianco e nero, risultato un disastro. sono tornata a casa e tore ha voluto vedere i provini, giustamente.

T: dove sono io?
V: ecco sei qui.
T: dove? non vedo niente?
V: eh lo so Tore il fotografo ha sbagliato tutto, ha fatto un casino, come dobbiamo fare?
T: eh... lo spariamo e basta.
V: che facciamo???
T: eh sì. lo spariamo e basta. io ho 8 colpi.

24/04/09

lui c'è

lui dice, lui fa, lui si vanta, perchè lui può. lui sta lì e decide di farsi vedere nei panni di chi non vuole farsi vedere. scende dal trono e tutti devono osservare e sapere che lui è sceso dal trono. lui vieta e poi fa ciò che vieta, perchè lui può. lui va e viene quando vuole dove vuole. lui dà e lui toglie e tutti accettano e lo glorificano. perchè lui è lui. lui prende in giro perchè lui può, sempre. perchè lui è superiore. ma in realtà sono gli altri ad aver capito male, sempre. lui elargisce, le sue case a chi non ne ha, suo figlio a chi non ha soldi, battute a chi non vorrebbe ascoltarle. perchè è generoso, lui. lui è sempre al tg, qualsiasi tg. perchè lui fa, perchè lui dice, perchè lui può, ancora. meno male che c'è lui. viva lui e viva il suo paese che lo vuole ora e sempre, perchè lui risolve, lo dice lui. lui fa ponti perchè lui ama la comunicazione, la sua. lui trova i soldi perchè lui è bravo a trovare soldi. lui ha vinto la morte, quella delle persone della terra dove ormai sembra stia vivendo lui. lui sorride, sa che lo riprendono e che lo guardano. lui sorride ma indossa la maglia nera, perchè è un uomo serio lui. tutti amano lui. viva lui. e poveri noi.

20/04/09

avota, avotaaaaaa

La mano sbatte forte sulla tammorra, la voce innalza un canto d’amore, di sofferenza, di sfida, d’augurio o di ringraziamento, poco importa, l’importante è che bisogna tirar fuori, esprimere e condividere. Il cerchio è composto, in due si guardano e si avvicinano, i corpi iniziano a muoversi trascinati dal battito della tammorra, le braccia si alzano piano e le mani impugnano le nacchere che cominciano a sbattere. “meglio ‘na tammurriata che ‘na guerra” sempre sbattendo sulla sua tammorra grida Marcello Colasurdo, l’uomo della tammurriata, un uomo del popolo e del passato che alla festa della montagna di somma mentre mi mostra come suonare la tammorra mi dice, io non l’ho studiata e non saprei parlarti di terzine o quartine ma ti dico: senti il ritmo dentro e poi lo sbatti. Non si ferma un attimo, ad ogni passo intona una tammurriata. È festa. Donne e uomini, anziani, giovani e bambini, tutti iniziano a ballare, tutti con tutti. Ci sono gonne, jeans, giacche e cravatte. In serata a riscaldare e sciogliere chi ancora non è riuscito a sciogliersi con la musica, arriva il vino rosso quello buono dei paesi vesuviani, e da mangiare, tanto. E allora a tarda serata che importa quali sono i passi, che importa se le mani fanno male a forza di suonare le nacchere, si balla, si balla e si canta, ancora, ancora e ancora. Tutti sorridono, le ansie e i nervosismi non appartengono a questi balli e alla gente che si lascia coinvolgere. Sembra che ci conosciamo tutti, ci diciamo dove andare e dove vederci. A me non frega niente di conoscere pochissimo questi passi, ho deciso che sono i miei e allora mi lascio prendere da rafel o parular o da salvatore o falignam, li seguo e mi insegnano un ballo che non hanno imparato ma sempre e solo ballato fin da piccoli. “Tu imparerai presto” mi dice Salvatore il falegname, che ci ha pure promesso delle nacchere fatte da lui. E a me piace pensare che imparerò presto anche se infondo mi interessa solo viverle queste nottate di suoni e di voci, di gente, di sguardi e di risate genuine, di lampioni e di stradine, di cortili con balconi e galline. (festa della montagna di somma vesuviana e madonna delle galline di pagani)

13/04/09

rottura degli schemi di comunicazione

tore devi iniziare a fare i compiti da solo. ormai sei grande.
chi io?
si tu, sei grande, devi fare da solo.
nooooo! davvero?
eh si. davvero!
nooooo. non ci credo!... no, no... io non ci credo.

09/04/09

Buenos Aires

Cos’è buenos aires? Come si afferra? Da che parte la si prende? Non so. Per me Buenos aires è una città che non riesci ad afferrare. Ci stai dentro, la guardi e cerchi una definizione ma lei sfugge e non si fa prendere. È qualcosa, ma è sempre anche altro. Sta lì e ti avvolge con le strade che sembrano tutte uguali ma che sono sempre diverse, con le caffetterie colorate e piene di passato, con la musica che viene fuori da finestre e negozi, con la luce del sole che si intrufola fra alberi e fili dei semafori. Ti avvolge con camion vecchissimi che mai riuscirai a vedere su una strada europea e con taxi gialli e neri che racchiudono storie sempre diverse. Ti avvolge con i volti semplici e fieri delle persone e con l’odore di carne arrostita e il rumore di soda fresca spruzzata nel vino tinto. Buenos aires è un po’ Parigi, un po’ Napoli, un po’ Messico, un po’ Bolivia e un po’ altro. È Italo il sarto, con la sua eleganza e con il suo passaporto italiano e il suo biglietto della nave ancora intatti, protezione della propria identità. È Adolfo l’edicolante ormai senza edicola con sempre un consiglio su cosa fare e dove andare, e con sempre “moneda” da elargire, custodita da altri gelosamente. Ma è anche e soprattutto i portenos che si lamentano della insicuritad. È un po’ Fossati e un po’, giusto un po’ Pessoa. È tanto sud e un po’ di buono nord del mondo. È la nonna calabrese di Fernanda e la casa di Lanùs di Ulisse ed Erika, e i vicini di casa di Enrico, è un po’ Sant Elmo, un po’ Matadores e tanta Salada. È la buona compagnia di Octavio ed Ana, è un po’ di rock, un po’ di ska al parque del centenario e tanto tango ovunque. È la valigia di cartone di Enrico rimasta lì ad attendere. É l’irregolarità e la vitalità della villa 31 con dentro Le Rire di Bergson, è la città delle buonissime media lunas e dell’ancora più buono dulce de leche e dell’incontro di questi ultimi due in una goduria del palato. È la città del mate bevuto in taxi e degli alfajor presi a qualsiasi ora nei kioski sempre aperti. È la città del BAFICI (il festival di cinema indipendente) e le sue code. È la città del 41 e della calle urquiza esplorata di notte. È la città del popolo e della borghesia, tutti uniti al funerale di Alfonsìn. E ora, da qualche giorno, è anche la città del Musetta, un caffè ancora non letterario. Forse non è la città dei fotografi, nè dei postini. Non è la città degli spicci, nè dei trasporti pubblici e non è la città dei filtri per le sigarette. Ma credo sia l’unica città al mondo in cui Milano e Napoli convivono armoniosamente, necessariamente, gustosamente, intellettualmente, fisicamente nella prima pietanza mangiata in argentina in una giornata assolata e che ha un po’ caratterizzato ciò che poi è stata la mia buenos aires, la milanesa a la napolitana. Buenos aires è anche tanto, tanto altro. Quel tanto altro che un po' non si vuole e un po' non si può tradurre in parole.

07/04/09

05.04.09 - dulce de leche

È fresca l’ultima notte a buenos aires. La tendina bianca si muove appena, lasciando passare l’aria che concilia il sonno, infatti qualcuno già dorme qui in casa. Ma fuori la città si fa sentire e io le faccio compagnia. Ancora per poco. Le immagini, i suoni, gli odori, i sapori, le persone, le emozioni, la fatica, prendo tutto e metto in tasca. Morricone mi aiuta a chiudere gli occhi, domani sarà il giorno della traversata.