Photo: virginia

30/03/08

N'ata vota

Nun è 'o sole
nun so' manco cchiù 'e pparole
ca me fanno sta' astrignuto a te
nun è 'o cielo
ca se vasa mmocca 'o mare
ca me fanno sempe penza' a te
dice ca se chiamma ammore
me saje dicere pecchè
pogne dinte addò nisciuno po' sape'
si' bugiarda e senza onore ma si sto luntano 'a te
aspetto sulamente 'e te vede'

siente, dinte te tengo, vulesse sulo fa' pace cu' tte
siente, chello ca i' sento, e viene n'ata vota 'mbraccio a mme

i' sto ffore
'e vvote quasi me ne moro
'a ggente passa, guarda e se nne va
forze è overo
ca songo 'e n'ata manera
e ca nun ce 'a faccio cchiù a suppurta'
ma cu 'a scusa d''o core
nun te pozzo perduna'
'o mmale ca tutte 'e juorne me faje
nun è ogge nun è dimane
cagnarraggio cagnarraje
e pe' sempe 'nzieme a mme tu turnarraje

siente , dinte te tengo, vulesse sulo fa' pace cu' tte
siente, chello ca i' sento, e viene n'ata vota 'mbraccio a mme

almamegretta

23/03/08

era pasqua

Per mia madre abitare in pineta voleva dire avere insetti in casa, serrarsi di notte per difendersi dai pericoli nascosti nel buio fitto, voleva dire isolamento e fare la spesa al camioncino che arrivava una volta al giorno. Per noi figli abitare in pineta voleva dire giocare con le pietre laviche (ma all’epoca pensavo tutte le pietre del mondo fossero così, “laviche”) e le foglie dei pini che cadevano, voleva dire cercare e raccogliere pinoli e ritrovarsi con le mani nere. Voleva dire a pasquetta vedere arrivare zii e cugini con tavoli e sedie pieghevoli, cibo e vino. La pineta era casa nostra ed io ne ero anche un po’ gelosa. Io e mio fratello ne conoscevamo i segreti, gli odori, i pericoli. Era frizzante quella sensazione di paura quando ti ci trovavi da solo e cercavi di familiarizzare con rumori e ombre, ogni volta spingersi più in là ma poi correre verso casa, verso la luce di quelle poche finestre. Restavo sempre un po’ spiazzata quando per un giorno veniva invasa da risate, grida, odori di carne e carciofi arrostiti. Lo spiazzamento devo dire durava poco, almeno fino a quando i grandi ci mettevano a cercare legna. Diventavo così una di loro, tradendo la mia pineta in cambio di compagnia e complicità. Spesso mi arrogavo il diritto di dire ai mie cugini “no, lì no” o “non spostare quel sasso”, risultando, certo, un po’ antipatica. Quando invece volevo davvero la loro ammirazione sapevo cosa fare. C’era un tesoro al di là della pineta. Certo, era un tesoro, ma il perché non lo sapevo e neanche mi ero mai posta il problema di saperlo. Conoscevo bene il percorso per arrivarci e allora sparivamo tutti e dopo qualche minuto davanti a noi appariva la villa. La villa di un certo Leopardi. La guardavamo da dietro gli alberi. Non so perché, ma avevamo timore di quel custode che stendeva i suoi asciugamani da finestre che cadevano a pezzi. Forse vedendoci non ci avrebbe mai detto niente. Ma il nasconderci e ammirare rendeva la faccenda molto più interessante. Insomma, io abitavo accanto alla villa di Giacomo Leopardi che doveva essere uno conosciuto, visto che mia madre utilizzava questo riferimento per spiegare a tutti dove stavamo. Non è stato immediato il collegamento quando poi dopo anni ho saputo di un Leopardi scrittore. Era proprio lui? Il mio vicino di casa? quando poi, tutto mi è diventato chiaro ho vissuto quasi un lutto. Conoscere l’identità del padrone di casa della villa aveva reso quel tesoro meno tesoro. Certi misteri che vivi nell’infanzia non dovrebbero essere mai svelati, mai chiariti. La pasquetta finiva con il ritorno del buio e del silenzio. Con gli zii che si allontanavano e ritornavano nella loro civiltà. E noi ci chiudavamo in casa, ancora a difenderci dai fantasmi della pineta. Soli, noi e il nostro vicino.

14/03/08

parole. sue di lei, sue di lui


devo dire che ci vorrebbe un linus ad ogni angolo. anzi, forse uno per ogni donna. che esca fuori con serenità e genialità al momento giusto, ridimensionando con eleganza quelle manie di grandezza, quelle complessità, quelle inutili e nocive "seghe mentali" che affollano l'universo femminile.

11/03/08

questione di calore


la primavera a volte è così. ne senti l'odore, il sapore, intravedi i colori... e inevitabilmente tu pensi all'estate, al sole e poi... d'improvviso, il gelo. un brivido ti fa capire che era una finta, che quel sole in realtà non era lì per te. e allora sei spiazzata, non sai che dire, riprendi le coperte e ti sembra di sentire più freddo di quando è stato inverno. speri che ritorni. ma cerchi di convincerti che è ancora inverno. però speri. ma è inverno. però forse. invece no.
foto di Luigi Ghirri

04/03/08

è così

ok, la primavera c'è. arrivata. aria fresca, ddoce ddoce, che si intrufola dappertutto. a dispetto del riscaldamento centralizzato che c'è e ci sarà fino a fine marzo. sempre al nord siamo. dunque primavera vuol dire che fra un po' arriverà il giallo dei girasoli, il verde dei campi, il bianco e il rosa dei peschi in fiore, il sole che luccica sul mare. certo bisognerà fare un passo verso il sud per questi colori. primavera vuol dire estate e quest'anno voglio fare indigestione di mare. e mi viene in mente barcellona bella, fresca e colorata. mi vengono in mente le notti a passeggiare. e respiro. intanto ho fatto un po' di conti: andare a casa a pasqua vuol dire doverci poi tornare dopo poco per votare, vuol dire spendere un bel po' di soldi, vuol dire che oltre alla beffa pure il danno. dopo solo due anni eccoci di nuovo a prendere un treno, fare sette ore d'italia, per andare a votare chi? il meno peggio (mah) e tanto sai che il peggio sarà votato da tanti. ma non pensiamoci, non volevo parlare di questo non oggi che la primavera è venuta a trovarci.
leggete "non avevo capito niente" di De Silva, vi prego. leggetelo se volete ridere d soli, se volete un libro leggero e scritto in modo originale e coinvolgente. vincenzo malinconico vi mancherà, vorreste averlo come amico o almeno come vicino di casa. ma infondo vi accorgete che un po' siete pure voi vincenzo malinconico. chi ha letto alta fedeltà sa di cosa parlo.
e ora si lavora però.